Daniela Pesce Lab IV Saggio
domenica 14 luglio 2013
lunedì 1 luglio 2013
mercoledì 12 giugno 2013
martedì 11 giugno 2013
Partnership al progetto
Partner
del mio progetto : Viviana Ruisi, insegnate in una scuola materna e
responsabile della sicurezza all’interno della scuola di Magliano Sabina.
Intervista
Ho iniziato l’intervista parlando
dell’area di progetto e della situazione ad oggi del quartiere, la prima
domanda è stata:
Conosce l’area di progetto?
Si,
ma non molto dal punto di vista dei servizi e delle esigenze del quartiere.
Dopo una breve spiegazione del
programma funzionale, gli ho chiesto:
Per lei ho trascurato qualche funzione?
No,
è giusto tutto il tuo ragionamento sulle funzioni e sulla loro disposizione
“graduale” che si riferisce alle varie attività nell’arco della giornata. Le
uniche due funzioni che inserirei sono una segreteria e una pediatria, la prima
per avere un punto di riferimento amministrativo del complesso e la seconda
perché si sa come sono i bambini! Si fanno male con tutto!!
Sono entrata nel dettaglio degli
spazi per i bambini, e gli ho chiesto:
Per quanto riguarda gli spazi e quindi le
“accortezze” da avere per un luogo a misura di bambino, a cosa devo stare
attenta negli spazi interni?
Prima
cosa importante, i bagni! Non serve una porta di ingresso al bagno e per ogni
wc è preferibile avere un elemento di separazione con una porta a ventaglio per
non avere il problema dell’altezza delle maniglie e a possibilità che il
bambino si chiuda dentro.
Attenzione
alle vetrate, che sia visibile la parte trasparente ad altezza bambino,
altrimenti non la vede e ci va a sbattere!
Ricordati
di fare l’altezza degli scalini a misura di bambino, tra i 12-14 cm, e che il
corrimano sia ad un’altezza di 75 cm.
Per
quanto riguarda la sala lettura, per esperienza personale non servono i
computer, poiché molti genitori sono contrari al loro uso.
E negli spazi esterni?
Negli
spazi esterni puoi mettere un prato sintetico oppure una pavimentazione
antishock o antitrauma.
E’
molto interessante l’idea degli orti urbani per avvicinare i bambini al mondo della
natura, è un rapporto che nel passato è stato tralasciato e quindi al giorno
d’oggi è bello che si riprenda il contatto con essa.
lunedì 3 giugno 2013
lunedì 29 aprile 2013
martedì 9 aprile 2013
HERMAN HERTZBERGER - SPAZI A MISURA D'UOMO, Pierluigi Fiorentini
L’architettura
del nostro tempo tende a manipolare le forme in maniera indifferente o straniante
nei riguardi del fruitore.
La ricerca
di Herman Hertzberger si stacca da questo e sviluppa un idea di architettura
intesa come opera al servizio dell’uomo, in grado di rispondere efficientemente
ai suoi bisogni materiali e alle sue esigenze psicologiche.
Herzberger concepisce gli spazi
a partire dai soggetti che in essi si muovono, abitano e trovano riparo; non è
l’edificio in se ad essere oggetto di studio, quanto i suoi intrecci con aspetti di carattere psicologico,
antropologico e comportamentale, spazi capaci di ospitare, stimolare l’apprendimento
e la creatività.
La
definizione delle scelte dell’iter progettuale non più è affidata ad una “sintassi
visiva” che si avvale di alcuni sistemi di controllo come allineamenti,
geometrie e proporzioni, ma sembrano costruiti dall’accostamento di situazioni
esistenziali reali.
L’architetto
rinuncia alla volontà di plasmare il mondo secondo le sue idee e diventa un
interprete attento che sa ascoltare e comprendere l’uomo.
Un esempio
di questo è la scuola Montessori di Delft (1960), edificio che ha subito
successivi ampliamenti rivelando una grande duttilità nell’adeguarsi al mutare delle
situazioni ed esigenze.
Le aule sono
unità autonome disposte intorno all’atrio, come piccole case lungo una strada
comune; non esistono relazioni gerarchiche tra insegnanti ed allievo, come è
tradizionalmente, il compito del maestro è preparare un ambiente stimolante in
cui i bambini vivono liberamente al suo interno e nel quale possono sviluppare
in autonomia le loro facoltà fisiche, mentali ed emotive.
Il tutto si
basa sulla simultaneità delle diverse attività basata sulla libera scelta dei
bambini; vi è un attenzione fortissima a evitare ambienti anonimi e impersonali
dando spazio ad un senso di domesticità, di calore e di protezione.
Vi è inoltre
il bisogno di radicarsi, di costruire luoghi significativi in cui riconoscersi.
Lo sforzo di
immaginare le sensazioni e i desideri delle persone, nel loro rapporto con gli
spazi dell’architettura, porta Hertzberger a sperimentare soluzioni in cui un
ruolo importante è la partecipazione creativa degli utenti.
Il progetto
delle case Diagoon (anni 70) segna il
passaggio dall’imposizione di modelli precostituiti a un principio di
organizzazione in cui è lasciata all’individuo la facoltà di elaborare un
proprio modello spaziale, per far si che egli si possa identificare in esso.
La città è
un sistema in continua trasformazione,
ma vi sono esempi di strutture urbane che nei secoli hanno mantenuto la
loro identità, ossia la forma architettonica sopravvive alle vicende della
storia proprio grazie alla sua attitudine ad adattarsi a nuovi usi e ad
ospitare funzioni diverse da quelle per cui era stata pensata. La disponibilità
al mutamento diventa il punto di forza dell’architettura di Hertzberger.
Egli guarda
alla città compatta tradizionale come un “libro di pietra” da cui trarre
indicazioni ed insegnamenti, mentre gli spazi aperti moderni sono, secondo lui,
destinati a diventare “terre di nessuno”, le strade e le piazze della città
compatta sono accuratamente dimensionati ed articolati.
Soprattutto nel
progetto di edifici pubblici egli sembra di voler portare la complessità degli
spazi urbani all’interno della sua architettura.
Fondamentale
è lo spazio centrale di questi edifici, che contiene tutti gli elementi di
circolazione, ne scaturisce un edificio come una piccola città, il sistema
distributivo è pensato come una rete di strade, in cui interno ed esterno si
sovrappone. Inoltre più grande è la distanza dell’edificio dalla città e tanto
più al suo interno deve esserci una qualità urbana.
Un esempio è
il collegio Montessori (1999), periferia est di Amsterdam. Egli parte da un idea di città, in cui gli
spazi connettivi sono pensati come aree di flusso e come zone di relazione, in
cui è possibile soffermarsi e riunirsi, proprio come nelle strade e nelle pizze
della città.
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